mercoledì 2 aprile 2014

Treccani ci ricorda la STORIA

In Italia si parla tanto dell’immigrazione come di una malattia.
http://www.meltingpot.org/Media-e-immigrazione-tra-stereotipi-e-pregiudizi.html#.UzweR_l_vnI

Però ho trovato il dizionario Treccani www.treccani.it che ha tante cose da ricordare ed insegnare a tutti noi.

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di Enrico Pugliese*
Si afferma solitamente che l’Italia, tradizionale paese di emigrazione, sia ora diventata paese di immigrazione. L’affermazione, all'apparenza ovvia, contiene un grave elemento di confusione, che consiste nell’assenza di un avverbio: di un “anche”. L’Italia infatti è divenuta negli ultimi decenni un paese di immigrazione, anzi un importante paese di immigrazione, mentre ha continuato a essere un paese di emigrazione, un importante paese di emigrazione. L’emigrazione italiana non è solo un fenomeno che riguarda la storia del paese bensì un fenomeno che riguarda, e in maniera significativa, anche la realtà attuale del paese stesso. E ciò non solo perché ci sono all’estero ancora consistenti comunità di italiani i quali si identificano come emigrati, ma esistono tuttora importanti flussi migratori tra l’Italia e altri paesi, soprattutto europei. Insomma l’Italia è un crocevia migratorio dove lavoratori stranieri affluiscono e sempre più consolidano la loro presenza con i ricongiungimenti familiari mentre cittadini italiani, frequentemente giovani, lasciano l’Italia verso altri paesi soprattutto europei.
L'emigrazione non fu un fenomeno esclusivamente italiano ma di tutto il mondo. Tra gli altri popoli che lasciarono in massa la loro terra vi furono gli irlandesi,[1] i tedeschi e gli ebrei d'Europa.
Il Paese che in rapporto ebbe più emigranti in quel periodo fu appunto l'Irlanda, dove la carestia e il malgoverno britannico furono la principale causa d'espatrio.
Nel 1800 il fenomeno dell'emigrazione dall'Irlanda agli Stati Uniti d'America, fu causato dalle persecuzioni religiose avvenute in Irlanda e dagli ormai eccessivi costi della vita in questo paese; la popolazione degli Stati Uniti, infatti, in dieci anni dall'inizio di questo fenomeno, raddoppiò. Una volta arrivati nei porti della East Coast dell'America, la maggior parte degli emigranti parlava difficilmente l'inglese, perciò per guadagnarsi il denaro per vivere, dovevano svolgere lavori pesanti, come la costruzione delle ferrovie; chi non trovava lavoro, spesso, entrava a far parte di bande di strada, dedite al vandalismo ed atti simili. Quasi tutti vivevano nel ghetto irlandese della città, dove vi era scarsa speranza di vita: essa non superava i 40 anni.

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di Amoreno Martellini
L’esperienza dell’Italia come paese di emigrazione si concentra in un arco temporale di circa cento anni, compreso tra gli anni Settanta dell’Ottocento e gli anni Settanta del Novecento. Un secolo nel corso del quale uscirono dai confini del nostro paese oltre venti milioni di cittadini. Si può dire che non c’è stata famiglia italiana che non sia stata toccata da questo fenomeno e che esso sia divenuto tanto pervasivo e capillare che, per le lacerazioni e gli sconvolgimenti che provocò nel tessuto sociale e nella struttura familiare, fu secondo soltanto al dramma delle guerre mondiali.
La ripartizione cronologica ormai classica di questo secolo di emigrazione vuole che esso sia aperto da una fase preliminare, detta «ligure» (perché da quella regione si sviluppò un primo modello di espatrio omogeneo), che ebbe la funzione di apripista per la fase di massa che si aprì subito dopo. A partire dagli anni Novanta dell’Ottocento i volumi degli espatri dal nostro paese iniziarono a crescere in modo cospicuo e repentino, per raggiungere i picchi più alti nei primi anni del Novecento (tra il 1905 e il 1907) e negli anni immediatamente a ridosso della grande guerra (1912 e 1913).

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